Più strateghi che tattici, come vuole Sun Tzu

Più strateghi che tattici, come vuole Sun Tzu

26 Agosto 2019

Sun Tzu, generale filosofo cinese del VI-V secolo a.C., autore dell’”Arte della guerra”, si sarebbe piazzato in poltrona e non si sarebbe perso una partita del campionato che sta per iniziare. E’ così che lo sognava: una battaglia di strateghi e non di tattici. La differenza? Dice il saggio: “La strategia può prendere una lunga strada, ma arriva sempre alla vittoria. La tattica è il rumore che precede la sconfitta”. Se il tattico vede che l’avversario schiera un terzino destro basso, piazza Mandzukic a sinistra nella speranza che gli salti in testa e faccia gol. Lo stratega lascia a sinistra chi sta sempre a sinistra perché ha un compito da svolgere in quella zona. Il tattico gioca sul punto debole e sull’errore dell’avversario, lo stratega ha un piano preciso da portare a termine, a prescindere da chi ha di fronte.
Il calcio moderno è un calcio di strateghi. Tu sapevi benissimo che il Barcellona di Guardiola ti spolpava in pressing e, quando conquistava palla, ti faceva impazzire disegnando ovunque triangoli di palleggio corto, ma ha conquistato il mondo lo stesso. Tutti sanno che il Liverpool si ritira per poi scatenare le tre frecce offensive in campo aperto, ma quando Salah, Firmino e Mané scattano e s’incrociano sembra sempre una sorpresa. Tutti sanno che quando un esterno di Gasperini crossa dal fondo, c’è l’altro pronto a chiudere sul secondo palo, eppure Hateboer e Castagne continuano ad andare al tiro. Perché quando l’idea è celebrata bene e, grazie alla ripetitività, si avvicina alla perfezione, diventa inarrestabile.

STRATEGHI NON TATTICI
Quando vi diciamo che il prossimo sarà un campionato di bel calcio, non vi promettiamo colpi di tacco, rabone ed effetti speciali. Per bel calcio intendiamo questo: la maggior parte delle squadre avrà un’identità di gioco chiara, avrà una strategia collettiva per il recupero della palla e per la sua gestione. Questa è stata la rivoluzione dell’estate, questa è la promessa di bellezza. Per la gioia del vecchio Sun Tzu, per la prima volta in serie A, così legata alla sua tradizione difensiva e speculativa, gli strateghi saranno in numero superiore ai tattici. Sarri, Conte, Giampaolo, Ancelotti, Gasperini, Fonseca, Montella, Di Francesco, De Zerbi, Andreazzoli, Liverani… Tutti padri di un’idea forte da imporre e non di un errore altrui da attendere.
Non significa che Allegri giocasse male. La sua Juve, oltre a vincere tanto, ha divertito spesso e il suo camaleontismo tattico è risultato spiazzante. Ma i suoi dirigenti, dopo l’ultimo vano assalto alla Champions, hanno deciso che in Europa la filosofia del “corto muso”, della speculazione tattica, del “conta solo vincere” non basta. E non basta neppure avere il giocatore più forte del mondo. Serve un’idea forte, da ripetere con intensità, con grande qualità tecnica, dal primo all’ultimo minuto. Serve giocare di più e meglio. Le migliori Juve di Max sono state figlie della disperazione: il 3-1 al Bernabeu e il 3-0 all’Atletico Madrid, dopo match d’andata rovinosi. All’assalto con la baionetta quasi senza speranza. Squadroni come Liverpool, City, Real, Barcellona e Bayern all’attacco dal primo all’ultimo minuto ci vanno per scelta, non per necessità. Questo chiedeva Cristiano Ronaldo quando vedeva la Juve impaurita e rintanata al Wanda Metropolitano o quando stringeva la mano a pera (”Ce la siamo fatta sotto”) dopo l’eliminazione con l’Ajax. Chiedeva un cambio di mentalità, lui che ha giocato sempre in squadre di dominio.
Non è detto che Maurizio Sarri faccia meglio di Allegri, che ha scritto la storia, ma di sicuro la Juve di Sarri difenderà correndo in avanti, curerà di più il palleggio, attaccherà sempre e si imporrà l’intensità d’azione che hanno avuto tutte le sue squadre. Doterà la Signora di parametri europei e infatti in Europa Sarri ha già vinto (Europa League).

MEZZALI RIVOLUZIONARIE
Rabiot e Ramsey, non solo Matuidi. La rivoluzione estiva è stata rivoluzione di mezzali, soprattutto. Palate di qualità dove si costruisce il gioco e dove noi, per tradizione, indossavamo medianoni spessi come maglie di lana. Il punto più alto di riferimento ce l’ha in casa Pep (David Silva-de Bruyne). L’Inter si è presa Sensi e Barella; il Milan Krunic e il centrale Bennacer; il Napoli è già ben attrezzato con Zielinski e Fabian Ruiz, fuoriclasse in divenire. Ma anche al di sotto delle grandi c’è stata la corsa al centrocampista di qualità. Il Genoa ha pescato addirittura dall’Ajax delle meraviglie (Schoene) e reclutato Saponara. La Roma ha aggiunto Veretout, la Fiorentina Pulgar, lo scatenato Cagliari Rog e Nainggolan.
Se annunciamo il campionato della bellezza, è anche per questa infornata di valore alla fonte dell’azione. Il lancio lungo del centralone è fuori moda come il borsello anni 70, l’Europa impone la costruzione dal basso che non è solo un accessorio per ricchi. Il bravissimo De Zerbi lo fa da sempre, anche con l’acqua alla gola.
Aspettiamoci un derby di Milano come non l’abbiamo mai visto. Il Milan, per scelta e caratteristiche dei giocatori, si ritirava in difesa per poi ripartire veloce. Spalletti teneva la linea più alta, ma non esasperava la velocità di recupero palla. Ora invece Giampaolo pretende il pressing sistematico e Conte, lo abbiamo visto in estate, una caccia da indemoniati. Significa che nel derby vedremo una squadra che salta addosso all’altra, fin dalla prima impostazione.

MILANO IN PRESSING
Arrivato a Milano nell’87, Arrigo Sacchi si accorse che i milanesi camminavano sempre di fretta, anche gli anziani. Dedusse: “La città ideale per insegnare il pressing”. Il prossimo sarà il derby del pressing.
Intensità di azione, qualità di gioco, spirito offensivo: questo è il calcio moderno. Paradossalmente, nel momento di massima criticità tra le istituzioni italiane e la Comunità europea, il nostro calcio si allinea ai parametri continentali del gioco. Sta per iniziare la Serie A più europea di sempre.
Non significa gettare in soffitta la nostra tradizione. La nostra eccellenza difensiva e tattica resta un fiore all’occhiello. Si tratta di arricchirla, come ha fatto la Germania, che produceva solo mediani cingolati e ora sforna gli Ozil e i Sané, o l’Inghilterra, che era palla lunga e pedalare e ora guizza con Sterling.
Il Torino è la spia dell’evoluzione in Serie A. Mazzarri giocava da una vita con terzini da traino che galoppavano a tutta fascia (3-5-2), ora si propone con punte esterne (3-4-3) e un nuovo spirito offensivo. Il Cholismo non era sinonimo di catenaccio? Rileggetevi la formazione dell’Atletico Madrid che di recente ha schiantato 7-3 il Real: 4-4-2 con Diego Costa e Morata di punta; Joao Felix e Lemar esterni più che offensivi; e due interni da gol con Koke e Saul. La strada è questa.
Sia chiaro, si può vincere anche in modo diverso. La Francia campione del mondo di Deschamps è un inno alla prudenza e alla solidità. Claudio Ranieri è diventato leggenda con un Leicester molto “italiano”. Ma la storia va in un’altra direzione e il nostro campionato ha deciso di imboccarla. Non è detto che cambiare significa migliorare, ma di sicuro per migliorare bisogna cambiare. Potrebbe essere lo slogan della Serie A al via.

MA DOVE SONO I 10?
Un’unica ombra. Vi abbiamo parlato della maggiore qualità delle idee e del gioco ma lì, alle spalle dei centravanti, vediamo buio. Abituati ai grandi numeri 10 che abbiamo allevato o importato (Maradona, Zico, Platini, Baggio, Del Piero, Kakà, Totti…), notiamo la luce che manca. Mentre il Real, che aveva già tipi come Isco, ha preso Hazard e il Barcellona di Messi ha aggiunto un giocoliere in più (Griezmann), da noi non è arrivato il grande artista. Dybala è stato percepito più come merce di scambio che come oggetto di desiderio. Da noi il 10 sta perdendo la sua sacralità. Un peccato, soprattutto per i bambini che in quella maglia crescono e sognano. Ma anche un guaio, perché le eccellenze tecniche servono. Non basta suonare lo spartito degli altri per produrre la stessa musica. Servono i violini. Per non parlare dei sentimenti. Un gran gioco riempie gli occhi, ma un gran giocatore accende il cuore.

#LuigiGarlando

Via | Sportweek

Serie A

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