Diego Armando Maradona

Diego Armando Maradona

26 Novembre 2020

Diego Armando Maradona è morto nell’anno 60 dD. Cioè dopo Diego. Perché per i seguaci della Iglesia Maradoniana, fondata nel ’98 a Rosario da due giornalisti argentini, contano la storia a partire dalla nascita del Pibe. Il Natale cade il 30 ottobre; la Pasqua il 22 giugno, giorno di Inghilterra-Argentina ’86. Mauricio e Jaquelin furono i primi sposi a scambiarsi gli anelli davanti al poster di Diego e giurarsi amore eterno con le mani su un pallone. L’Iglesia Maradoniana è arrivata a contare 800 mila adepti in 60 nazioni. Anche Ronaldinho e Messi. Ognuno è libero di scegliersi il suo dio. Più divino Pelé, l’unico a vincere tre Mondiali? Fate voi. Ma quando Napoli canta Maradona è megl ’e Pelé ci sono almeno due buone ragioni per unirsi al coro.
DIO TRA GLI UOMINI – Maradona ha vinto un solo Mondiale, in Messico, nell’86, ma lo ha fatto con Cuciuffo, Ruggeri, Enrique e Burruchaga. E’ stato D10s tra gli uomini, è calato in mezzo a loro per innalzarli al suo stesso livello, miracolo dopo miracolo. Ha spezzato il pane in spogliatoio e ha trasformato umili peccatori in campioni del mondo. A volte è stato onnipotente, è stata l’intera squadra, come quando prese palla nella sua metà campo e scartò tutta l’Inghilterra: Hoddle… Reid… Samson… il macellaio Butcher… Fenwik… la Regina… il Beefeater… Shilton… Non c’è partita che fotografi meglio Maradona: un gol segnato dalla sua metà paradisiaca, talentuosamente disumana; l’altro, dalla Mano de Dios, dalla sua parte demoniaca che gli avrebbe imposto una vita di eccessi. È morto un dio dannato, un uomo di 60 anni che ne ha vissuti 120. Ma in finale il dio si è fatto uomo, è arretrato umilmente per sottrarsi dalla morsa tedesca, ha lavato i piedi a Burruchaga e gli ha concesso l’assist della gloria. Pelé invece è stato dio tra gli dei. Era sull’Olimpo con Djalma e Nilton Santos, con Garrincha, Carlos Alberto, Tostao, Rivelino… Dal ’58 al ’70 ha vinto spalleggiato da leggende. Il Napoli dei due scudetti campioni ne aveva, certo: Giordano, Careca, Bagni, Ferrara, De Napoli… Ma ne aveva avuti anche prima e ne avrebbe avuti anche dopo. Però il tricolore l’ha vinto solo con Maradona, che a Napoli è stato Dio tra gli uomini non meno che in Nazionale. Pecci, scettico come San Pietro che non voleva gettare le reti, spiegò: «Diego, la barriera e la porta sono troppo vicine». Diego ordinò: «Tu toccamela lo stesso». Il Pibe girò la caviglia e la punizione entrò nella rete della Juve: la pesca miracolosa. È stato così fin dall’inizio. Il 5 dicembre saranno 50 anni esatti dal provino all’Argentinos Juniors. Pioveva a dirotto. I bambini palleggiavano in attesa dell’allenatore. Uno per uno smisero tutti. Diego andò avanti anche nel fango. Il provino non serviva più. Categoria Cebollitas, i nostri Pulcini. Le Cipolline dell’Argentinos Jrs diventarono una leggenda perché, grazie a Diego, giocarono 136 partite senza perderne una. Battevano River e Boca. Pelé è stato il dio di se stesso, Maradona, fin da bambino, il dio che divinizzava gli uomini. E poi c’è il fattore Europa.
IL FATTORE EUROPA – A giudicare dal sombrero allo svedese Gustavsson nella finale del ’58, al gol segnato in testa al nostro Burgnich in quella del ’70, ai 7 gol che segnò nelle due finali intercontinentali contro Milan e Benfica, c’è da credere che O Rei non avrebbe avuto problemi con i difensori europei. Ma basta rivedere il fallaccio con cui il basco Goikoetxea gli frantumò la caviglia ai tempi del Barça, per intuire che Maradona ha combattuto battaglie che Pelè in genere ha evitato, specie in patria. Nei vecchi filmati, la Perla Nera ha il tempo di fermarsi, fintare in surplace, danzare la ginga, il calcio ballato derivato dalle danze degli schiavi, e ripartite. Pelè è stato l’infanzia del calcio, la gioia istintiva del gioco. Maradona ha vissuto l’evoluzione adulta della professione, esasperata in tutto: negli interessi economici, nella visibilità, nei ritmi di gioco, nella fisicità dei protagonisti. Diego non poteva permettersi di fermare il pallone, perché sapeva che sarebbero piombati tacchetti a scolpirgli le caviglie. Infatti la poesia più bella del suo repertorio tecnico era il primo tocco, col quale tracciava un solco tra sé e il mondo. Con quel tocco stoppava la palla, la spostava, orientava il corpo e ripartiva. E poi la tecnica e la resistenza in velocità, aiutata dalla natura. Il dottore che consegno a Doña Tota il neonato Diego annunciò: «È tutto testa e culo». Quel culo basso, segreto d’equilibrio, e quella testa piena di genio avrebbero favorito il talento. Diego è stato costretto a diventare un grande atleta. Il cicciottello che non si allenava è una barzelletta. Magari non si alzava dal letto per una notte allegra, ma quando Ciro Ferrara passava dopo l’allenamento, lo trovava a correre sul tapis-roulant nel box di casa. Non puoi dribblare tutta l’Inghilterra e dominare i difensori italiani, se non sei un grande atleta.
COME IN PARADISO – Quanto alla celebrata ginga di Pelè, beh, guardatevi il riscaldamento più famoso della storia, a Monaco, nell’89, prima di Bayern-Napoli, su musica degli Opus: c’è grazia inferiore? Diego palleggia con un’armonia seducente, una naturalezza da paradiso terrestre prima della mela. La palla gli resta incollata ovunque: piede, testa, spalla… Non è un accessorio esterno. È un arto in più. Maradona include il pallone. Per questo ne è il Dio. Nell’aprile del 2004 Maradona era in fin di vita. Mi imbarcai per Buenos Aires. All’ingresso della Clinica Suizo Argentina, dov’era ricoverato, trovai uno spettacolo impressionante. Ceri, santini, una folla di fedeli in preghiera, molti sgranavano il rosario, cartelli alle vetrate dell’ospedale, tipo: «Fuerza Diego SOS Nuestro Dios»; «Il mio tempio: la Bombonera. Il mio Dio: Diego»; «D10s è argentino ed eterno», «Diego perdona i giornalisti che non sanno quello che fanno». Sembrava una cattedrale. Maradona, dopo un’altra crisi d’eccessi, aveva respirato il suo vomito nel sonno e lesionato i polmoni. Nel punto più basso della sua umanità, rivendicava il diritto di morire. I suoi fedeli, che avevano troppo bisogno di un D10s, glielo impedirono. Stavolta ce l’ha fatta. Pelè, che ha da poco festeggiato gli 80 e superato diverse malattie, prega per lui. Quelli dell’Iglesia Maradoniana non escludono che nei prossimi giorni succeda qualcosa.
 
Da La Gazzetta dello Sport
#LuigiGarlando

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